Ci siamo seduti sul prato dei Giardini, ci siamo poggiati sui muri del Teatro Civico di Castello che si apre al cielo senza soffitto, abbiamo aspettato il tramonto e, in silenzio, li abbiamo ascoltati tutti. Il Nobel Tim Hunt, l’antropologo Marc Augé, il teologo Vito Mancuso, il filosofo Bauman, lo scrittore Ian McEwan. Volevamo sapere. Volevamo che ci indicassero la strada.
Cosa bisogna fare per essere felici?
La ricetta della felicità a Leggendo Metropolitano
Da La Donna Sarda di Cristina Muntoni – clicca qui per aprire il link
Aveva ragione Epicuro a sostenere che basterebbe semplicemente allontanare il dolore, o Sant’Agostino che diceva di cercare dentro sé stessi?
Quale sia la via giusta per trovare la felicità resta ancora una domanda senza risposta che oscilla, in equilibrio precario, tra il dono gratuito del caso e la compensa per il duro lavoro di ricerca. Fortuna e virtù. La risposta definitiva non è arrivata nemmeno dai settantadue ospiti di Leggendo Metropolitano, immaginifico festival internazionale di letteratura che si è chiuso domenica a Cagliari, dopo cinque giorni di un’ottava edizione dedicata all’indagine sul tema dei temi: la felicità. Come si raggiunge?
«Non evitando i problemi, ma al contrario, proprio nell’affrontarli e superarli», ha assicurato il grande filosofo polacco Zygmunt Bauman alla platea del Teatro Civico di Castello che conteneva a stendo la folla, mentre fuori centinaia di persone continuavano a stare in fila sperando di poterlo ascoltare, anche quando le porte si erano ormai chiuse. Il “padre” novantenne del concetto di “società liquida”, dove gli uomini non avrebbero più nulla di “solido” a cui aggrapparsi, ha smontato la felicità illusoria generata dai social media, fabbrica di solitudine e di modelli di vita frustranti perché finti e irraggiungibili. Aprire gli occhi davanti al potere ingannevole delle foto di vite apparentemente felici è importante quanto quello comprendere il reale scopo che muove il market del consumo: aumentare la nostra insoddisfazione generando l’illusione che il possedere cose possa eliminarla.
L’appello a destarci davanti ai modelli capitalistici generatori di infelicità è stato anche l’antropologo Marc Augè, famoso per la sua opera di decostruzione del pensiero postmoderno con lo studio (e l’invenzione del neologismo) dei “non-luoghi”. Gli aeroporti, i centri commerciali, le stazioni sono spazi che rappresentano le nuove forme di alienazione sociale dove le persone gravitano quasi spogliate di identità alla ricerca della felicità effimera del consumo di merci e del possedere oggetti. «Ma nei Paesi del nord Europa dove il livello di benessere materiale è diffuso, sono numerosissimi i casi di suicidio», avverte. Una riflessione che è tornata in vari discorsi affrontati al festival e che ricorda il paradosso della felicità di Easterlin, secondo cui l’aumento del reddito e la felicità siano inversamente proporzionali. La felicità che racconta Augé non è infatti qualcosa che possa arrivare come un boccone da inghiottire in fretta e a buon prezzo.
«La felicità è qualcosa di individuale e di relativo», afferma lo studioso, e in questo senso «è meglio diffidare da coloro che vogliono fare la felicità di altri».
Per lo scrittore americano Bill Glegg, invece, cercare di aiutare gli altri è fondamentale per ritrovare la felicità dopo che si attraversa l’inferno di un lutto o, come nel suo caso, una storia di tossicodipendenza. Per il teologo Vito Mancuso l’inganno da cui destarsi sta nella diffusa convinzione che per essere felici bisogna semplicemente divertirsi. «Le parole non mentono, divertire deriva da divertere, volgere altrove. La felicità invece deriva dal convertere verso se stessi e trovare quello che il Buddha chiamava l’isola del sè».
I trentamila visitatori del festival hanno ora una certezza in più: una ricetta universale della felicità non esiste. Ognuno trovi la sua e a volte sta in cose piccolissime «come stare a tavola con le persone a cui voglio bene o fare una passeggiata», racconta Ian McEwan, uno degli scrittori viventi più importanti al mondo.
Non ci sono ricette uniche, ma spesso la felicità è a portata di mano. Basta coglierla.
Cristina Muntoni